Nei primi venti anni seguiti all’indipendenza (1960) il Benin sviluppò un’economia di transito traendo profitto dal traffico di merci in direzione degli stati del Sahel privi di accesso al mare; in particolare vide crescere enormemente le proprie attività di riesportazione in seguito al boom petrolifero della vicina Nigeria, negli anni Settanta del Novecento. Questo equilibrio fu rotto dalla pesante crisi economica che il Paese attraversò negli anni Ottanta. Solo agli inizi degli anni Novanta, dopo l’approvazione di una nuova Costituzione, il nuovo presidente eletto, seguendo i severissimi programmi di aggiustamento del Fondo Monetario Internazionale, riuscì a risanare, almeno in parte, le finanze pubbliche e saldare i debiti interni. Il Paese rimane comunque, nei primi anni del Duemila, profondamente legato alle fluttuazioni dell’economia nigeriana; altissima è la disoccupazione; burocrazia e corruzione precludono sostanzialmente un deciso sviluppo economico.
Chiamato “quartiere latino dell’Africa Occidentale” dai francesi, il Benin vanta una forte tradizione intellettuale e una grande passione per la discussione e il dibattito politico. Le donne hanno un ruolo di vitale importanza nella società e partecipano attivamente, accettando però i limiti e le ineguaglianze mantenute dalla religione islamica. Non a caso una delle artiste più famose a livello internazionale è Angélique Kidjo (n. 1960), che scrive e canta le proprie canzoni riallacciandosi strettamente ai ritmi e ai suoni del proprio Paese. In molte zone si trovano le abitazioni tradizionali, come le cosiddette Tata Somba presso il lago Nokoué, costruite in argilla e dalla caratteristica forma cilindrica. Anche le feste sono profondamente legate al passato e alle tradizioni: a Porto Novo, per esempio, si tiene un carnevale afrobrasiliano, portato qui dagli ex schiavi tornati in patria. A Ouidah, invece, porto da cui partivano le navi cariche di schiavi alla volta dell’America, si tiene a gennaio un suggestivo festival del Vudù, con canti e balli dei partecipanti che celebrano la loro fede. L’UNESCO ha dichiarato patrimonio dell’umanità, nel 1985, l’area dei palazzi di Abomey. Qui, infatti, dal 1625 al 1900, ben dodici re si succedettero in questo regno. Eccetto re Akaba, tutti i re costruirono i loro palazzi nella stessa area, mantenendo i palazzi precedenti per quanto riguarda l’uso dello spazio e dei materiali. I palazzi reali di Abomey sono l’unico ricordo di questo regno scomparso.
Il Benin ha intrapreso azioni importanti per la lotta al traffico di minori, ed il fenomeno preso in carico dal governo beninese è in via di miglioramento, benchè non abbiamo ad oggi dati certi sui risultati numerici. In Benin, la tratta di minori era legata non solo a fattori socioeconomici, ma anche culturali e geografici. In tutta l’Africa occidentale resta molto diffusa la pratica tradizionale del Vidomegon – l’affidamento di bambini poveri a famiglie benestanti, presso cui svolgono lavori che dovrebbero avere un valore d’apprendistato, in un’ottica d’assistenza socio-economica – mentre l’emigrazione verso Nigeria, Togo, Gabon e Congo – paesi con cui il Benin ha legami storici e culturali – era molto diffusa già in epoca coloniale. Sfruttando tali fattori socio-culturali, e soprattutto la povertà di famiglie desiderose di dare un futuro migliore ai figli, si è imposta in Benin una rete criminale che gestisce il traffico di minori sia internamente sia oltreconfine, ma allo stato attuale non abbiamo dati certi per valutare la dimensione del fenomeno.
I flussi di traffico vanno, internamente, dalle zone rurali ai grandi centri urbani come Cotonou, Porto-Novo e Parakou; la tratta internazionale – ha come terminali Nigeria, Togo, Costa d’Avorio, Gabon e Congo. Le vittime erano bambini, e soprattutto bambine, tra 6 e 17 anni, spesso senza istruzione o già impiegati nel lavoro minorile, provenienti da famiglie numerose e molto povere.
Secondo dati del 2007, oltre 40.000 bambini erano vittime della tratta di minori in Benin.