Chi siamo

Cosa facciamo noi dell’Abbraccio per noi stessi e per gli altri.

Qui sotto riportiamo le parole con cui Pino, il Presidente, racconta l’Abbraccio.

Per chi volesse sentirlo dalla sua voce può ascoltarlo qui cliccando sull’immagine     

Di cose direi che ne facciamo e ne abbiamo fatte: abbiamo organizzato un doposcuola per i bambini e le bambine e i ragazzini e le ragazzine a Fubine, ci occupiamo degli anziani con un progetto dedicato, siamo attori importanti nell’ospitalità ai nostri amici dell’Ucraina.

Ma soprattutto siamo impegnati in Africa!!!

E sia qui che in Africa possiamo essere inquadrati sotto una bellissima etichetta che a me piace molto: siamo costruttori della pace!

In questi tre anni abbiamo sentito fortissimo il bisogno di salute. Molti di noi, soprattutto tra gli anziani, ci hanno lasciato e molti han corso il rischio di farlo.

Dal febbraio di quest’anno invece, da quando l’Ucraina è stata invasa dalla Russia, sentiamo fortissimo un altro bisogno: quello di vivere nella pace.

È un diritto irrinunciabile di tutti, di essere nella pace!

E noi che facciamo di concreto in questo senso? Come siamo impegnati per il raggiungimento della pace?

La risposta è che il nostro impegno, la nostra fatica, i nostri sforzi e il nostro lavoro sono proprio dedicati a costruire la pace.

Pace che non è solo assenza di guerra, sarebbe troppo limitativo, ma pace come aria che si respira, come atmosfera  in cui l’essere fratelli e sorelle è l’ossigeno che ci tiene in vita, che ci dà la possibilità di essere consapevoli che abitiamo una casa comune, che ci spinge ad aiutarci reciprocamente quando qualcuno di noi è in difficoltà, con generosità, altruismo, e sacrificio che vuol dire rinunciare al superfluo che può essere pure dannoso e distruttivo e focalizzarci al raggiungimento del un bene comune: La gioia e la felicità di tutti nella libertà.

Non possiamo abolire i conflitti o i contrasti, fanno parte della vita, possiamo però imparare a lavorarli non prendendoci a pugni, ma intessendo relazioni, dialogando, mettendoci sempre un pochino dalla parte dell’altro, non pensando al nostro esclusivo interesse personale, o di ente e istituzione a cui apparteniamo.

E l’altro non è il nemico, anche se diverso o la pensa in maniera differente, ma mio fratello o mia sorella ai quali posso parlare, con cui discutere anche animosamente: il punto di incontro infine lo si trova.

È uno stile questo che dovrebbe entrare nel cuore di tutti a cominciare da quando si è bambini e si va a scuola.

Ma un passaggio fondamentale per la pace tra popoli è rendere giustizia, fare la giustizia.

E questo noi lo stiamo facendo anche in Benin in cooperazione con tutti i nostri amici beninesi e non solo.

  • Difendiamo i diritti delle persone, alcune delle quali non sanno nemmeno forse di averli.
  • Insieme ce ne rendiamo consapevoli e lottiamo per poterli soddisfare. Non con le armi ma con altre cose reali e concrete.
  • Costruiamo una scuola per il diritto all’istruzione
  • Costruiamo e gestiamo insieme un ospedale per il diritto universale alla salute
  • Con un’azienda agricola per il diritto al nutrimento e al lavoro
  • Con una formazione costante privilegiando le donne e i giovani per il diritto a pensare, scegliere ed esserci
  • Con l’aiuto allo sviluppo di un territorio, al rispetto dell’ambiente, alla salvaguardia dell’ecologia per il diritto alla libertà personale all’interno di un mondo diverso più umano.

Là c’è l’incontro di due mondi diversi e ricchissimi che si sono uniti e lavorano insieme per raggiungere lo stesso obiettivo: la pace.

Nella consapevolezza che si costruisce, nella condivisione, nelle relazioni e nei legami.

E questi sono gli strumenti che ci danno la possibilità di utilizzare le diversità come risorse, di superare i contrasti e i conflitti che fanno parte della vita di tutti, facendoli diventare occasione di crescita e sviluppo.

È un modello che presuntuosamente vorremmo che ci fosse copiato e diffuso.

Se così fosse, i nostri fratelli e sorelle dell’Africa non avrebbero bisogno di tagliare le radici, di correre il rischio di morire nel deserto o nei lager libici o il rischio di morire in mare per una barca troppo piena o un onda più violenta, e infine di diventare immigrati clandestini, cioè criminali comuni da isolare, emarginare e guardare a vista.

Avrebbero il loro lavoro ben pagato e riconosciuto, avrebbero la loro famiglia con le possibilità di mantenerle e farle crescere, le terre non diventerebbero sabbia, il mare non si innalzerebbe e la pesca di ogni cosa sarebbe ancora possibile.

Abbiamo intenzione di dare il nostro contributo per cambiare il mondo e questo che stiamo facendo cominciando da un piccolo pezzettino di terra Africana che si chiama Benin. Insieme.

L’ospedale, l’azienda, la scuola, il territorio sono il fine e lo strumento attraverso il quale noi stiamo costruendo la pace, quella vera.

Questo è l’Abbraccio.

Non è solo una dichiarazione di intenti: noi ci crediamo veramente e in questi ci mettiamo fatica, impegno, sofferenza per qualche delusione che viene superata con un rinnovato impegno ed entusiasmo.

Chi è d’accordo con noi, fa parte dell’Abbraccio assumendosene anche il significato di, appunto, operatore di pace!

Dateci una mano perché tutto questo possa continuare a vivere, crescere e diffondersi.